Due metri di uomo, un 48 di piede, un capello sempre spettinato. Quante volte ti abbiamo detto di pettinarti? E invece niente, sembravi perennemente appena uscito da un fumetto, da uno di quei cartoni giapponesi che tanto ti piacevano.
Quando hai cominciato a lavorare da noi, io ero l’assistente del capo e tu “quello dei sis info”, l’ultimo arrivato. Mi hai sempre trattato con le pinze. Come del resto facevi con tutti. Sempre gentile, sempre corretto. Sei sempre stato fin troppo paziente.
Scherzando mi dicevi che ogni mia richiesta era un ordine. So che lo dicevi con ironia e non per vera soggezione, ma anche se per caso, per il ruolo scomodo che in quel periodo avevo, avessi pensato di me le peggio cose, so che poi con il passare degli anni ci siamo capiti.
Marco, puoi venire di corsa sù ad organizzare la call? Marco puoi sistemare subito questo pc? Marco puoi chiamare tizio perché vogliamo cambiare tutti i servizi?
Quante volte ti ho chiamato a quel 558. E quante volte sei corso.
Quando dopo il mio anno di maternità sono rientrata in ufficio, tu ti stavi preparando a diventare papà. Nemmeno un mese dopo nasceva Filippo e il nostro rapporto è diventato più confidenziale. Anche forse per la prima dura prova da genitore che hai dovuto affrontare a 24 ore dalla nascita di Filo.
E poi non si contano le volte in cui sei arrivato a lavoro e ti sei fermato a chiacchierare con me e le altre mamme, al caffè, commentando la notte appena trascorsa, tra una battuta e l’altra. Non dimentico le nostre facce incredule (e sbattute!) al sentirti dire che ogni notte, quando Filippo si svegliava, eri tu a prendertelo e a portarlo in soggiorno con te, cercando di farlo riaddormentare.
Noi basite e anche un po’ invidiose della fortuna di tua moglie.
Un collega diverso, mai marpione, sempre con la battuta pronta. E anche quando dicevi qualche stupidata tipica del sesso maschile, nessuna di noi poteva offendersi, davanti a tanta simpatia.
Ti sei dovuto subire gli ordini e i capricci del momento, ma l’hai sempre fatto con il sorriso sulle labbra o comunque camuffando la smorfia. Non credo di ricordare una sola litigata con te. Anzi non credo di conoscere nessuno che abbia mai davvero litigato con te. Battibecchi, malumori dovuti alla tensione del momento, ma tu mai esagerato, mai arrabbiato.
Nemmeno quando ti richiamavano dal tuo giorno di cig, per un’emergenza, emergenza che arrivava sempre, puntuale come un orologio svizzero, quando tu non c’eri, quando il server cadeva o qualcuno toccava qualcosa che non doveva toccare. E così il tuo telefono squillava, tu lasciavi il tuo lavoretto in casa che da mesi stavi cercando di finire, e venivi di corsa in ufficio con un sorriso che era un misto tra la beffa e il divertimento. Perché certo che ti giravano, ma se non lo facevi tu…
Ciao Mammadalprimosguardo ci sei anche tu oggi?
Negli ultimi mesi in azienda siamo stati tutti con il fiato sospeso per via dell’acquisizione, giocavamo al tu dentro, tu fuori, anche in base a chi prima di noi dava le dimissioni e liberava il posto. Eravamo abbastanza tranquilli che tu saresti stato dentro il gruppo degli 80 fortunati, quello che non potevamo immaginare è che la tua vita sarebbe cambiata così, dall’oggi al domani e che il lavoro non avrebbe più contato niente. Quel posto non sarebbe più stato importante. Ricordo che quando sono partita a Giugno per Forme tu eri il Marco di sempre:
oh Sere dimmi che Lavinia ha smesso di svegliarsi e c’è speranza che anche Filo dorma prima o poi.
Sono tornata ed eri in malattia, tu che non eri mai mancato un giorno. Poi sei rientrato ma eri strano, non eri in forma. Non eri tu. Un esame, un altro. E poi mi sei apparso su Facebook con la tua diagnosi infausta. Da allora sono passati sette mesi, mesi in cui hai trovato il tempo per altre battute, mesi in cui hai provato tu a smorzare la tensione raccontando aneddoti ed episodi da un reparto che di divertente non ha proprio nulla, mesi in cui hai scoperto che la vita che ti stava scivolando tra le dita era la vita che non volevi lasciare.
Hai combattuto come un leone, hai tentato fino alla fine di sconfiggere questo male bastardo che voleva portarti via tutto, hai cercato di non permetterglielo. Perché tu sei un grande e volevi vincere. Dovevi vincere. E invece otto mesi dopo aver scoperto di essere malato, quel bastardo ti ha portato via.
Questo post te lo dovevo. Perché oggi è la festa del papà e c’è un bimbo che ieri ha dovuto dire addio al suo troppo presto. E da mamma mi si stringe il cuore. Ma mi piace pensare che un giorno Filippo potrà scoprire qualcosa in più del suo papà anche grazie alle persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di lavorarci insieme.
E siccome so che mi leggevi sempre perché “anche se non commento leggo tutto” e dato che so che leggerai anche questo mio ultimo saluto, voglio che tu sappia che, un lettore attento, ironico e disinteressato come te, un collega come te, mancherà molto. Non solo a Mammadalprimosguardo.
Ciao Deco, ora puoi volare.
Condoglianze a tutta la famiglia.
Sere-Mammadalprimosguardo
Non ho parole…un abbraccio
Non trovo le parole giuste perché non esistono parole giuste per commentare certe ingiustizie
Amica… Ti abbraccio forte
Quanto mi dispiace…. Non ho parole…
Ho perso un’amica la scorsa estate a causa di una brutta malattia. Capisco bene cosa provi. Ho le lacrime agli occhi. Un abbraccio a te e condoglianze alla famiglia dal profondo del mio cuore
Che dolore…che vita ingiusta…se ne vanno sempre e solo i migliori…condoglianze…
Un bacione!