Questa è la stagione del “non-so-cosa-mettermi”, della vestizione a cipolla e del cambio armadi, che immancabilmente fai sempre al primo caldo, per poi pentirtene immediatamente il giorno dopo, quando le temperatura crollano di dieci gradi e tu sei in giro con lo spolverino bianco.
Ditemi che no è così.
Quando poi non è sufficiente la frustrazione di aver toppato il momento, ti vengono incontro le tue figlie che, se per i mesi precedenti non sono cresciute di un solo cm, durante quell’acquazzone, si allungano di 10 cm tutti insieme e non hanno più niente da mettersi.
E tu a quel punto devi correre, tra una pozza e l’altra, a cercare qualcosa che possano mettere, oramai al limite della stagione, consapevole che non troverai più nulla del peso necessario e che comunque, anche qualora lo trovassi, l’indomani ci sarebbero trenta gradi.
Snervante. Abbastanza. Soprattutto quando poi devi dare via capi mai messi e in condizioni ancora perfette.
Quest’anno però possiamo fare tutti qualcosa di utile e tirare un sospiro di sollievo.
KIABI, brand francese di cui vi ho già parlato in passato, famoso per la moda a piccoli prezzi, lancia la campagna di raccolta abiti “Give me 5 for charity“, in collaborazione con HUMANA People to People Italia Onlus.
Recandosi dal 18 aprile al 31 maggio nei negozi KIABI di tutta Italia e portando con sé i propri abiti dismessi o non più utilizzati (o quelli diventati improvvisamente corti), si potrà fare del bene e riceverne.
Ogni 5 capi consegnati alla cassa, si riceverà un buono di 5 euro (da spendere su una spesa minima di 45 euro sulla nuova collezione dal 18 aprile all’8 giugno 2017), ma soprattutto si contribuirà a rinnovare completamente il guardaroba di alcuni bambini ospiti della comunità di FATA Onlus.
Tutti i ragazzi, grazie agli abiti raccolti, riceveranno un kit personalizzato proprio per loro, un regalo da parte di tutti i clienti KIABI.
Un ottimo motivo per liberarsi dei capi che altrimenti dovremmo buttare (o peggio ancora archiviare negli scatoloni stagionali) e per regalare qualche capo nuovo ai nostri figli di dieci centimetri più alti. No?