Una delle cose che più amo del mio lavoro, oltre al fatto di avere tanto tempo da dedicare alle mie bambine organizzandomi gli orari, è che mi dà la possibilità di vivere esperienze che vanno ad accrescere il mio bagaglio e la mia esperienza, come donna ma soprattutto come mamma, e che spesso riescono a mettermi in discussione, senza che io me ne renda conto.
Qualche giorno fa ho partecipato ad una diretta Facebook sponsorizzata da Fruittella, dove, insieme ad altre mamme (e a un papà, perché anche i papà hanno il loro ruolo nell’educazione dei figli!) ho avuto modo di confrontarmi con una coach di disciplina positiva, Clio Franconi, la quale, raccontandomi la sua esperienza di genitore e i suoi studi fatti negli anni, mi ha fatto ragionare su un aspetto che non avevo mai considerato.
Se il tema della diretta era il Potere del sì, nell’educazione dei nostri figli, di quei sì consapevoli e ragionati, non regalati, che aiutano a rafforzare il legame con i nostri bambini, pur senza arrivare ad accontentarli per sfinimento, io mi sono resa conto di quanti no dico, e di come, questa mia attitudine, arrivi da lontano.
Sono stata cresciuta da una mamma single, che doveva lavorare moltissimo e che doveva occuparsi della mia educazione in toto, visto che mio papà, dal quale era divorziata, cercava di colmare forse i sensi di colpa o comunque la non presenza, con giochi e vizi a volontà. Come per equilibrare il tutto.
Quella stessa mamma che oggi, quando mi vede rapportarmi con le mie figlie, mi accusa di essere troppo rigida, dimenticandosi forse di aver fatto esattamente la stessa cosa con me in passato.
D’altronde, e questa cosa l’ho capita lavorando su me stessa negli anni, anche con l’aiuto di una psicoterapeuta, quando una donna cresce i figli da sola, tende a volerli rendere autonomi, responsabili, indipendenti, presto, perché “in caso di necessità” devono potersela cavare da soli.
E anche se le mie bambine hanno un papà molto dolce, affettuoso e presente (nonostante la sua assenza fisica settimanale per via del lavoro), io mi trovo spesso, anche per deformazione caratteriale, a portare l’intero peso della loro educazione sulle mie spalle, e spesso, soprattutto con la prima figlia, che è più grande e che è la mia prima volta, tendo a pretendere un po’ troppo da lei.
Lo faccio per prepararla, per cercare di fortificarla e di renderla pronta a qualsiasi evenienza della vita, ma forse, cercando di fare il suo bene, a volte esagero.
Un ragionamento contorto, lo so. Ma viscerale.
Un’impostazione educativa (che poi è quella che rivedo in quella di mia madre, quando era solo mia mamma e non la nonna delle mie figlie), un po’ rigida, fatta spesso di no, perché è giusto così, di repressione delle emozioni, perché sono esagerate, di scontro, perché è generazionale.
E mentre Clio raccontava di come spesso i genitori di oggi siano condizionati dall’educazione ricevuta, tipica degli anni passati, in cui la gerarchia, l’autorevolezza, il rispetto sempre dovuto, i no che aiutano a crescere, hanno sempre avuto la meglio su un rapporto con i figli fatto di emozioni condivise, di dialogo e di comprensione, mi sono sentita punta sul vivo.
Forse posso crescere una figlia forte, sicura e autonoma anche concedendo lei dei sì consapevoli, che la aiutino a diventare grande, ma non frustrata.
Accettare che i nostri figli provino delle emozioni, spesso contrastanti e perché no irritanti, soprattutto avvicinandosi all’adolescenza, è il primo passo per rendersi conto che hanno bisogno di poterle esprimere e di non doverle reprimere.
Un bambino che sa vivere bene le sue emozioni, senza provarne vergogna o senza avere timore di esternarle, sarà un adulto che avrà piena consapevolezza del proprio io, nei vari momenti della sua vita.
Banalmente, il senso di frustrazione che un bambino prova quando litiga magari con il fratello o con il compagno di scuola, non deve essere né impedito, né bloccato, né represso.
Accettare di poter provare quella emozione negativa e di poterla elaborare, magari parlandone, esternando cosa lo fa sentire così, lo aiuterà da adulto ad elaborare momenti negativi e a venirne fuori.
Dobbiamo insegnare loro non a non arrabbiarsi, ma a saper gestire l’emozione. Un po’ quello che dovremmo essere capaci di fare noi adulti.
Per questo ho deciso di provare a mettermi in discussione e di cambiare atteggiamento nei confronti delle mie figlie, di non mettermi più in mezzo alle loro litigate, se non invitandole a gestire le emozioni e a non urlarsi addosso, cercando di non difendere sempre la più piccola “perché è piccola” pretendendo dalla maggiore una maturità che ancora non può aver raggiunto a soli dieci anni, e a rispettare la loro dignità e il loro essere bambine senza pretendere quello che io vorrei che fossero, perché io sono io, loro sono loro.
Non sarà facile, sicuramente.
Perché anche noi genitori siamo umani, e abbiamo una serie di fragilità e di nervosismi che derivano dal lavoro, dalla situazione che viviamo, dalla vita in generale e che sfoghiamo spesso sui nostri figli al culmine di giornate particolarmente pesanti in cui anche loro ci mettono tutto il loro carico da 90 per appesantirle.
Ma almeno dobbiamo provarci.
Come? Seguendo una serie di step che ci permettano di vivere le nostre emozioni, di accettarle, permettendoci così di accettare le loro.
Creare una routine condivisa per esempio, in cui noi decidiamo insieme ai nostri figli cosa fare e come organizzarci, dove dire dì e dove saper accettare un no, sicuramente potrà esserci d’aiuto, anche perché le routine aiutano a superare i momenti oppositivi.
Ma anche dare maggiori responsabilità ai nostri figli più grandi che si sentiranno così più accettati e resi più importanti (perché spesso alla fine i loro malumori sono solo richieste di attenzione), creare un piano di collaborazione tra fratelli, ruoli che possono cambiare settimanalmente, decidendo insieme chi fa cosa e segnandolo per esempio sul calendario.
Ascoltarli, permettere loro di raccontarci tutto, anche cose difficili che noi genitori spesso non sappiamo accogliere.
E ancora incoraggiarli ad avere un approcci positivo e a valorizzarli quando fanno qualcosa particolarmente bene, piuttosto che sgridarli quando sbagliano.
Un po’ come le nuove valutazioni che da qualche mese danno alla scuola primaria: non più voti ma giudizi, affinché il bambino si responsabilizzi, ma non si senta frustrato da un’interrogazione andata male.
Per il prossimo mese quindi io e le bambine ci siamo prefissate di vivere almeno tre momenti felici attraverso attività condivise e decise insieme e di monitorarli grazie al kit ricevuto da Fruittella: una lavagnetta sulla quale segnare i momenti sì da vivere con i bambini e un braccialetto che, ogni volta che un’attività viene svolta, avvicineremo al mio smartphone e si aprirà un sito con un counter.
Una volta raggiunto l’obiettivo comune, Fruittella donerà in beneficenza materiali per attività ludiche ad un’associazione che sostiene bambini in difficoltà.
Chi di voi vuole provare con noi a vivere più momenti felici, a dire più dì consapevoli e a creare un rapporto sereno ed empatico a lungo termine con i propri figli?
Sere-mammadalprimosguardo